La finestra oltre il conosciuto - Reazioni alla pandemia | Studio Elios
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La finestra oltre il conosciuto

Reazioni alla pandemia e cambiamenti psichici | studio elios

La finestra oltre il conosciuto

Reazioni alla pandemia e cambiamenti psichici

 

“La curiosità può vincere la paura, ancora più di quanto può fare il coraggio”

(James Stephens)

 

La finestra chiusa

 

Da quasi un anno assistiamo impotenti ad un rallentamento delle spinte emancipatorie che spingono verso il nuovo, il diverso, il “conosciuto non pensato” (Bollas, 1987).

Lo sguardo curioso verso qualsiasi direzione e categoria esperienziale è diventato miope, come sospeso.

Ognuno a suo modo si è trovato nel mezzo di un passo che stava per fare, un piede indietro e l’altro nel vuoto in attesa di nuove terre. Chi doveva partire per terre sconosciute reali o simboliche, chi sognava nuove esperienze, altri che semplicemente stavano cominciando una delle piccole avventure che danno senso alla vita, un corso di yoga o di cucina, un tirocinio in ospedale, il lavoro di gruppo, i giri culturali nei fine settimana. Tutto congelato o trasformato in esperienze virtuali che, dopo l’iniziale entusiasmo, dato che sempre di esperienze nuove si tratta, rivelano la lontananza con l’impatto emotivo che la vita vera propone.

La finestra si è chiusa anche su tutto ciò che rendeva reale e colorata la vita, ora incerta e sottotono, soprattutto se siamo consapevoli, se non neghiamo la tragicità del momento, se stiamo vicini a quelli che lottano ogni giorno col virus in prima linea e ai quali viene naturale pensare con gratitudine infinita, ammirazione e rispetto. O così dovrebbe essere se ci consideriamo umani e per questo interconnessi gli uni con gli altri.

 

A volte, uno spiraglio di luce

 

Su tutta questa visione tinta di angoscia e di grigio, con sfumature e strascichi che ci porteremo nell’inconscio per molto tempo, colpisce la capacità di alcuni di resilienza e di utilizzo del tempo stesso come fonte di scoperta.

E se, come ricorda Seneca, le difficoltà rafforzano la mente, sono proprio quelli che non negano la problematicità del momento, coloro i quali stupiscono per l’apertura dello sguardo che sa cogliere qualcosa di imprevisto, non necessariamente qualcosa di bello e di permanente, ma di nuovo e mai considerato.

Come per tutti noi, anche per me da febbraio scorso spariscono tutti i piccoli piaceri che contornano l’attività professionale, dal caffè coi colleghi, alle discussioni di gruppo con cena finale, alle uscite informali.

Tra questi importanti contorni che nutrono e sostengono, finisce improvvisamente anche la mia giornata libera a Milano divisa tra il lavoro di supervisione con una collega ricca di fascino e di esperienza e il mio vagabondare nella città che amo. Il passaggio al virtuale rivela in questo caso la possibilità di far entrare l’altro nella propria casa e nelle proprie abitudini permettendo l’instaurarsi di una maggiore confidenza. Così, anche in questo caso, avviene in passaggio ad una modalità di comunicazione diversa attraverso lo schermo di un computer. Nonostante questo o forse proprio per questo, non si può non accennare a quello che sta succedendo, alla paura che permea ogni cosa e che si legge negli sguardi e nei racconti. Le abitudini sconvolte e il bisogno di crearne di nuove, la sensazione di precarietà e di insicurezza che fa vedere l’altro e, in fondo anche noi stessi come potenziali nemici.

Proprio non negando, ma condividendo parti di angoscia e di esperienza intima, la collega mi racconta divertita come per la prima volta nella sua vita si è cimentata con la preparazione di una torta. “Pensa la mia prima torta a 73 anni!” racconta ridendo di gusto, rivivendo l’esperienza appena fatta e pregustando quelle a venire. “Ne farò altre e ho già pensato a possibili aggiunte e variazioni all’impasto…”

È proprio vero che “la curiosità evoca la cura, l’attenzione che si presta a quello che esiste o potrebbe esistere, un senso acuto del reale, che però non si immobilizza mai di fronte ad esso” (Michel Foucault).

Mi viene da pensare che chi coltiva l’esercizio di guardare le cose diversamente, sempre da angolazioni diverse, può salvarsi meglio. Rimane attivo anche se all’interno di un tunnel, alternando momenti di tristezza e delusione ad altri di sorprendente attivazione verso il singolare.

È un essere vivo, proprio per l’alternanza delle emozioni che vivono al suo interno, per la consapevolezza che ha di esse, per l’accettazione della verità per quello che è, col suo corredo di buono e cattivo, di gioia e dolore, di estate e inverno.

La curiosità non effimera verso un sapere multidisciplinare che permette di cogliere e sentire tutte le sfumature della vita può essere la chiave per sentirsi vivi persino di fronte alla fine. E niente risulta per me più efficace del saluto di chi ha lasciato testimonianza di grande umanità, amore e cura per la vita , uniti per l’appunto ad una forte e tangibile curiosità.

…) “Non riesco a fingere di non avere paura. A dominare però è un sentimento di gratitudine. Ho amato e sono stato amato, ho ricevuto molto e ho dato qualcosa in cambio, ho letto e viaggiato, pensato e scritto. Più di tutto sono stato un essere senziente, un animale pensante, su questo pianeta bellissimo, il che rappresenta per sé un immenso privilegio e una grandissima avventura” (Oliver Sacks, Gratitude,2015).

Più che coraggio, ci vuole curiosità.

 

Dr.ssa Barbara Capestrani