24 Apr IL PROFUMO DELL’ARIA
Quando stamattina ho aperto la finestra il paesaggio si presenta inaspettatamente diverso. L’avevo chiusa su frammenti di blu e di verde scuro e, dopo poche ore, ecco che la riapro su di un manto bianco. Fiocchi leggeri svolazzano giocosi e si torna bambini. Un bel cambiamento. Un regalo inaspettato.
RACCONTO
Lucrezia ha 24 anni, meravigliosi occhi verde chiaro e una cascata di capelli scuri che sembrano non finire mai. Come la sua giornata, piena di mille cose da fare, amici da incontrare, occasioni da prendere al volo in un desiderio di autonomia e indipendenza che la caratterizza. Così deve essere quando la vita è giovane e quando si è capaci di viverla pienamente.
Infatti, mi racconta che in quel periodo era molto impegnata, un doppio lavoro, lo sport come occasione di incontri e di allegria.
Si sentiva a volte un po’ stanca, ma non si preoccupava troppo con la sua vita spinta al massimo e, d’altronde, le analisi di poco tempo prima andavano bene.
Mi mostra una sua foto fatta qualche giorno prima del ricovero: “Vede come ero bianca?”.
Io vedo solo una bellissima, giovane ragazza dagli occhi profondi ed intelligenti.
Poi è come chiudere una finestra sul verde intorno e riaprirla qualche ora dopo su di un bianco candido e freddo.
La stanchezza improvvisa e devastante, la corsa al pronto soccorso, il ricovero e il non ritorno a casa.
Tutti piangono, genitori e nonni, solo lei ha la forza di chiedere al medico: “Si può fare qualcosa?”
La risposta, “si può ma sarà difficile”, la prima di molte altre, segnerà l’inizio di una nuova vita, improvvisa, inaspettata e dura.
Il paesaggio, intorno e dentro, si è tinto di un bianco freddo. Ricovero in isolamento, chemioterapia sperimentale, fatica, sofferenza, dolore, stanchezza.
In poche ore tutto cambia. Troppo velocemente perchè le emozioni possano seguire il pensiero. Rimangono nel vuoto, volteggiando come fiocchi di neve.
Lucrezia prosegue il cammino. Ogni volta che prova a uscire da quel luogo bianco e asettico, vi ritorna dopo poco perchè sta di nuovo male.
Mi fa vedere un’altra foto, fatta quando è senza capelli: “erano la cosa a cui tenevo di più”, i bellissimi occhi ancora più grandi e spaventati.
E dopo un anno ecco il trapianto. Poi i controlli, le terapie, gli effetti collaterali, le paure e la presa di coscienza di non poter essere madre. “E’ stato tutto troppo veloce”, dice, “senza la possibilità e il tempo di conservare nulla”.
L’INCONTRO
Come aprire e chiudere una finestra. Prima e dopo.
Sono passati otto anni, ma tante emozioni sono rimaste intrappolate tra le ante di legno. Escono adesso. Perchè prima bisognava solo sopravvivere.
Adesso i piccoli fiocchi possono sciogliersi in pozzanghere di pianto, di incredulità, di rabbia, di tanto tanto spavento. E, paradossalmente, di novità. Come quando esce dall’ospedale dopo il trapianto, e la prima cosa che dice alla madre è che si è accorta adesso che l’aria ha un profumo. “proprio un suo profumo, e lo sento adesso dopo tanto tempo”.
Lucrezia chiede aiuto per l’instaurarsi di piccoli rituali che caratterizzano la sua giornata, dai quali vorrebbe liberarsi.
Io penso a quanto deve aver visto, sentito, sofferto. E non mi è difficile capire perché i suoi racconti sono cosi vivi che mi sembra di essere stata lì con lei, tanto che a volte faccio fatica a rimanere in quei momenti di morte e di angoscia. E quasi benedico anch’io quei suoi gesti rituali come preghiere sussurrate a mezza voce, ricordando che “l’ossessività è il risultato di un lavoro di cancellazione del dato percettivo, legata all’ambivalenza e al bisogno di controllare gli impulsi del soggetto verso l’oggetto, impregnato di cariche libidiche e aggressive, troppo potenti o inconciliabili” (Correale 20211).
Penso a quanto non si è mai preparati a tutto questo, soprattutto quando la vita è giovane e pulsa nelle vene.
Mi racconta che a volte, solo poche in verità, si arrabbia. Come ieri, mentre andava al lavoro in auto, e un tizio improvvisamente scarta di corsia e quasi le viene addosso. Stava usando il cellullare.
Prima e dopo. Improvvisamente. Prima sei sulla tua macchina e canti una canzone e dopo puoi essere morta per un’istante di disattenzione.
“C’è una canzone”, mi dice, “che racconta come mi sento”, è “La geografia del buio” di Michele Bravi.
“Perchè a scuola non insegnano questa geografia?”
No, non la insegnano.
Nessuno ci ricorda mai che può esserci un prima con un dopo inaspettato. Verde e bianco. Caldo e freddo. Luce e buio.
E che dobbiamo pensarci.
Perchè il pensarci aiuta ad assaporare il prima e a non disperderlo.
Perchè il pensaci aiuta ad affrontare un dopo senza morire.
Lucrezia l’ha fatto. È sopravvissuta, anche se non ne è del tutto cosciente.
Lei, la geografia del buio ha dovuto impararla da sola.
1 Correale, Antonello (2021). La potenza delle immagini. Mimesis