16 Feb La Pandemia e l’arte dell’essere fluidi
“L’acqua non oppone resistenza. L’acqua scorre. Quando immergi una mano nell’acqua senti solo una carezza. L’acqua non è un muro, non può fermarti. Va dove vuole andare e niente le si può opporre. L’acqua è paziente. L’acqua che gocciola consuma una pietra. Ricordatelo, bambina mia. Ricordati che per metà tu sei acqua. Se non puoi superare un ostacolo, giragli intorno come fa l’acqua” (Margaret Atwood)
Dopo un anno di questa vita si cerca di trovare almeno degli insegnamenti, perché proclamare qualcosa di positivo risulta sicuramente difficile. Osservando pazienti, conoscenti e familiari rifletto su quanto alcune caratteristiche di personalità possano, in un certo senso, risultare favorevoli alla resilienza, rispetto ad altre.
Alcuni di noi si adattano naturalmente al flusso degli eventi, ne sentono la carica emotiva e, proprio per questo, assumono una attitudine favorevole al cambio di status.
Come se, sentendo il vento in arrivo, si preparassero ad aggiustare la barra del timone. Sono quelli, per fare un esempio, che si sono adattati alla terapia online, scoprendone alcuni aspetti curiosi e nuovi. Quelli che hanno deciso di allontanarsi dalla città amata e cercata per luoghi più isolati, conoscendo la propria condizione di fragilità e scoprendo così il fascino di scenari montani. E sono sempre quelli che dopo sei mesi di completo isolamento tra i boschi, decidono che adesso è ora di tornare.
Altri, invece, sembrano irrigidirsi.
La rabbia, il senso di rancore verso una vita trasformata contro il proprio volere, il risentimento per progetti e lavori bloccati li mette in una condizione di totale scompenso. Le emozioni negative colonizzano la mente in maniera totalizzante e non si riesce a pensare ad altro. Non mi riferisco a persone che hanno veramente subito lutti o sono in situazioni di estrema precarietà economica, dove sarebbe innaturale vedere il solito bicchiere mezzo pieno. In questi casi si ha naturalmente bisogno di restare nel proprio dolore, dargli tutto il tempo che chiede e che serve per poi tentare nuove aperture. Penso invece a situazioni nelle quali, con tempo e pazienza, è possibile vedere qualche possibilità di aggirare gli ostacoli, di trovare nuove vie, diverse e sicuramente meno soddisfacenti, ma comunque strade e possibilità.
Alcuni ce la fanno, altri no.
Come quando vuoi proprio quella cosa, quella e basta. Magari ne trovi una simile, ma di colore diverso. Un colore che non sei abituato a portare… ma non permetti alla nuova tonalità di entrare nella tua vita, perché il tuo stile è il nero.
Nero e basta.
Ci siamo trovati improvvisamente in una situazione che nessuno poteva nemmeno immaginare, ancora oggi sembra a volte irreale. Ma veramente non possiamo dare la mano al collega, baciare un amico, prendere l’auto e partire per il mare? Spesso, guardando un film e osservando la vita precedente, le scene con tanti individui vicini, i gruppi di persone nelle mille occasioni di una giornata qualsiasi, mi chiedo quando torneremo a quei momenti.
Ciò che sta succedendo ed è successo ha portato tanto, troppo dolore. E’ difficile trovare aspetti positivi, anche se in tanti abbiamo scritto sulla possibilità date dalla scoperta del tempo rallentato e dei momenti condivisi con la propria famiglia. Soprattutto durante la prima fase della quarantena spesso sentivo persone quasi apprezzare alcuni aspetti di una vita diversa. Lavorare da casa permette più tempo per momenti con i propri cari, si scoprono nuove realtà. E’ possibile evitare situazioni sociali non scelte e forse solo subite.
Ma durante la seconda ondata, se così si può chiamare, forse per il fatto che avevamo già assaporato un quasi ritorno ad una pseudo-normalità, la delusione, la preoccupazione, l’angoscia hanno preso il sopravvento. Le pareti della casa sono diventate strette, chi ci sta intorno qualcuno di già troppo visto e vissuto, i panorami dalle finestre troppo conosciuti. I discorsi finiscono sempre sulla situazione pandemica, le ansie per cosa sta accadendo portano a chiudere sulle prospettive future. La sensazione di stallo e di impotenza è palpabile.
Tornano alla mente i racconti dei nonni in guerra, per chi ha avuto la fortuna di ascoltarli. Anche oggi siamo di fronte a qualcosa di non voluto che fatichiamo a dominare. E anche oggi la differenza tra chi subisce arrabbiandosi e chi, pur condividendo la tristezza, cerca di adattarsi, fa la differenza. Fa la differenza anche nei confronti del senso di comunità e di rispetto per gli altri. Chi rimane prigioniero della sua lotta inutile di solito nega la realtà e si espone e ci espone al rischio. Tutti gli altri lavorano insieme per affrontarlo.
Essere come l’acqua ci pone di fronte ad infinite gamme di possibilità a seconda del contenitore nel quale finiamo. Può essere una diga e allora possiamo filtrare attraverso le terre circostanti. Può essere un bicchiere di cristallo o un bel vaso per i fiori e possiamo goderci una posizione di privilegio e di armonia. Possiamo finire in una pozzanghera, in un lago o in un mare. In una goccia di pioggia su una foglia. La storia Zen suggerisce quindi di fluire, di scorrere lievi. Di adattarsi insomma. Di fronte ad un ostacolo bisognerebbe cercare altre vie, se si presenta un muro sbatterci la testa contro diciamo che non serve a un granché oltre a farci male. Se ci si pensa tutta la nostra vita, non solo questo periodo, può assumere le caratteristiche dell’acqua che scorre, se glielo permettiamo. Oltre all’innegabile vantaggio del raggiungimento di una maggiore capacità adattiva nei confronti dell’imprevedibilità della vita, lasciar scorrere osservando attenti e in modo consapevole porta alla naturale presenza di ciò che rimane come essenziale per la nostra realtà. Il resto scorre via in mille rigagnoli che, se vengono seguiti, portano solo ad aridità.
Perché la nostra è “quella strana condizione, che è quella dell’intera esistenza, in cui tutto fluisce come l’acqua che scorre, ma in cui, solo i fatti che hanno contato, invece di depositarsi sul fondo, emergono alla superficie e raggiungono con noi il mare.”
(“Come l’acqua che scorre”, Marguerite Yourcenar).