Frammenti - Studio Elios
Così Camilla comincia a scrivermi, oltre alle due sedute a settimana. Sono mutevoli frammenti dei discorsi interrotti durante i colloqui, richieste di sostegno, pezzi di racconti, foto, stralci di poesie, a volte persino canzoni. L’uso di whatsapp contribusce nel facilitare questo flusso quasi costante di informazioni che la riguardano e non mi stupisce che non si chieda nemmeno se ne posso restare infastidita, come logicamente succede. Perché questa è stata la sua esperienza della relazione con l’altro:  un utilizzo reciproco, un’assenza di confini e di separatezza. È così che la sua personalità non ha potuto rappresentarsi in un tutto intero e definito, ma sembra una figura dai contorni sbiaditi sempre oscillante alla minima brezza.
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Frammenti

Frammenti

“La tua immaginazione e le te emozioni sono come un vasto oceano da cui strappi piccoli pezzi di terra che possono di nuovo essere ripresi dall’acqua. L’oceano è ampio ed elementare, ma quello che  conta sono i piccoli pezzi di terra che tu da esso reclami.

(Etty Hillesum)

 

Fatta di mille piccoli pezzi

L’avevo conosciuta in un momento particolare per entrambe: io da poco trasferita da un’altra città e lei incinta al sesto mese. Entrambe spaesate e in cerca di riferimenti. Una nausea incoercibile la stava consumando, compromettendo la gravidanza.  La rivedo circa quattro anni dopo e stento a riconoscerla. Somatizzazioni di vario genere l’hanno trasformata in una persona fragile e spaventata. Camilla mi guarda fisso con enormi occhi azzurri che sembrano prosciugarla e, contemporaneamente, inghiottire l’altro, in questo caso la sottoscritta alla quale chiede risposta degli innumerevoli disagi provati.

Aveva imparato che la reciprocità significa attaccamento, possesso ed esclusività reciproca. Dipendere dall’altro. Così era cresciuta. I troppi abbandoni e un conseguente rapporto simbiotico con la madre l’avevano portata verso una continua richiesta di conferme. E l’altro deve esserci sempre. Altrimenti ecco farsi strada la paura di dissolversi in una miriade di infinitesimali frammenti.

 

Una danza reciproca

Così Camilla comincia a scrivermi, oltre alle due sedute a settimana. Sono mutevoli frammenti dei discorsi interrotti durante i colloqui, richieste di sostegno, pezzi di racconti, foto, stralci di poesie, a volte persino canzoni. L’uso di whatsapp contribusce nel facilitare questo flusso quasi costante di informazioni che la riguardano e non mi stupisce che non si chieda nemmeno se ne posso restare infastidita, come logicamente succede. Perché questa è stata la sua esperienza della relazione con l’altro:  un utilizzo reciproco, un’assenza di confini e di separatezza. È così che la sua personalità non ha potuto rappresentarsi in un tutto intero e definito, ma sembra una figura dai contorni sbiaditi sempre oscillante alla minima brezza.

Scelgo di entrare nel gioco e incominciamo una danza reciproca di ricerca della giusta distanza. L’invasione dei frammenti sembra sentire il moto delle onde emotive: straripante quando il nostro contenitore fallisce nel suo compito, più ragionevole quando c’è calma all’orizzonte. Contrariamente alle mie abitudini scelgo di non intervenire fino a quando sento che può riuscire a reggere un reale confronto. Nella pratica osservo la qualità e gli aspetti del materiale che passa in quella modalità comunicativa affidata al non verbale: sembrano “piccoli pezzi di terra come tracce di un’esperienza antica che alimentano l’identità nascente”          (G. Pellizzari).

Insieme seguiamo le onde del flusso comunicativo attraverso i diversi canali e con il tempo e la cura sembra che Camilla riesca a rispettare i confini. Si accorge di quello che succede tra noi, chiede se può scrivermi, si scusa se non riesce a non farlo.

Cambio anch’io con lei. Ripenso a qualche anno addietro dove avrei subito contro-reagito reprimendo ogni tentato di comunicazione al di fuori del setting. Camilla mi ha portato a pensare a modalità nuove di contenimento, all’apertura verso uno spazio di discussione altrimenti inesplorato. Come una sera quando, guardandola dritta negli occhi, le ho chiesto se si era mai domandata come potevo sopravvivere se tutti i pazienti avessero utilizzato le sue stesse modalità di approccio.

Probabilmente, anche in questo caso, deve essere servita più la mia faccia stanca che mille parole. Da allora, infatti, mi scrive raramente e, quando lo fa, sono frammenti di sue poesie e racconti che mi fa molto piacere leggere.

 

Dr.ssa Barbara Capestrani