Psicoterapia online: da emergenza ad opportunità | Studio Elios
Abbiamo sentito la necessità di strutturare meglio l’attività da remoto, di farla diventare una modalità consapevole, da emergenza a presenza e opportunità.
15902
post-template-default,single,single-post,postid-15902,single-format-standard,cookies-not-set,ajax_fade,page_not_loaded,,qode-child-theme-ver-1.0.0,qode-theme-ver-16.8,qode-theme-bridge,qode_header_in_grid,wpb-js-composer js-comp-ver-5.5.2,vc_responsive

Psicoterapia online: da emergenza ad opportunità

Psicoterapia on line: da emergenza ad opportunità

Psicoterapia online: da emergenza ad opportunità

Psicoterapia online: da emergenza ad opportunità. Questa seconda ondata pandemica è arrivata insinuandosi prepotentemente dopo qualche mese di relativa calma e speranza e l’impatto è stato forte e destabilizzante sulle vite di noi tutti. Riguardando gli stralci dei colloqui terapeutici di questo periodo noto come, per alcuni, solo adesso il virus diventa qualcosa di reale e di perturbante. Durante la prima ondata l’attivazione della disponibilità verso buone prassi e nuovi modi comunicare era dettata dall’urgenza e dall’istinto di sopravvivenza. infatti quasi tutti i pazienti avevano accettato di continuare la terapia da remoto, senza una piena consapevolezza di cosa effettivamente significasse e dove questo potesse condurre.

Questa seconda volta, invece, il vedersi attraverso un vetro fa nascere emozioni diverse, forse solo sfiorate a marzo, e si leggono delusione, spavento, perplessità, fatica anche per l’aver appena provato l’alternanza di distanza-vicinanza, in così pochi mesi. Questa volta ho sentito la necessità di strutturare meglio l’attività da remoto, di darle uno spazio di pensiero, di farla diventare una modalità consapevole, da emergenza a presenza e opportunità.

 

Alcuni dubbi possibili

 

Nel riflettere su un argomento così vasto e da tempo oggetto di pareri discordanti ho pensato anche alla mia esperienza personale, sia come terapeuta che come paziente, e a come possa essere diverso essere entrambi immersi in un ambiente condiviso, rispetto al restare entrambi nel proprio spazio dietro ad uno strumento che inevitabilmente ci porta a dover scegliere dove orientare lo sguardo.

Quello che accade a distanza è qualcosa di profondamente diverso da quello che accade in presenza. E qualcosa di diverso non significa qualcosa di minore o di meno importante, significa differente.

Il corpo comunica non solo attraverso le parole, ma attraverso i gesti, il movimento, la mimica, la postura  e tutte le metacomunicazioni implicite che risultano penalizzate attraverso una comunicazione a distanza. Con quest’ultima manca l’esperienza della condivisione di un terreno comune, osservando panorami ed oggetti visibili ad entrambi, allontanando così la facilità della comprensione reciproca che si basa principalmente sugli aspetti impliciti della comunicazione.

La teoria del terreno comune, precursore fondamentale della fiducia, prevede un insieme di “sapere reciproco, credenze reciproche e presupposti reciproci” essenziali per la comunicazione tra due persone (Clark e Brennan,1991).

Avere un campo percettivo in comune favorisce la possibilità di raggiungere un’esperienza trasformativa, “ciò che distingue il fatto di stare al mondo insieme nell’atto di una percezione comune è che, in un certo senso, l’uno condivide la fisicità dell’apparato sensoriale dell’altro… quella che è in gioco è l’espansione della coscienza individuale” (Golberg,2012). Sappiamo ormai per esperienza quotidiana che la visione statica e limitata della webcam dà luogo a un’esperienza molto diversa da quella che si può avere all’interno dello stesso ambiente fisico. Osservare solo un viso non può essere la stessa cosa che vedere un corpo nella sua totalità, come precisa una giovane donna dopo il primo colloquio via Skype “lei vede la mia faccia, ma non può sapere che io sono alta 1,82 e peso più di cento chili”.

A volte sembra di lavorare con un oggetto parziale, distorsioni prospettiche, difetti e ritardi della trasmissione che impediscono la percezione della totalità dell’altro e possono minare l’instaurarsi di una relazione di fiducia che si sviluppa più facilmente in un rapporto diretto.

Spesso sono i pazienti stessi che ci conducono verso un’integrazione tra le due modalità quando chiedono ma “non possiamo vederci dal vero almeno le prime volte?”, intuendo la necessità di stabilire una solida base di fiducia attraverso l’incontro diretto prima di avviare un percorso a distanza.

 

E gli innegabili vantaggi

 

In generale penso che sia molto importante riflettere sul fatto che non deve essere “meglio che niente”. La terapia online è qualcosa di diverso e in divenire che ci accompagnerà anche quando tutto questo sarà passato.

Qualcosa che necessariamente serve ora per fronteggiare la pandemia, ma che potrebbe essere considerato comunque limitante, depotenziato o, al contrario, moderno e rivoluzionario. Si tratta di riflessioni estremamente delicate e in continuo divenire, che sono già state oggetto di dispute (Psicoanalisi attraverso lo schermo, i limiti delle terapie online, Russel 2015) e soprattutto oggi sono motivo di studi e considerazione. E’ impossibile paragonare il trattamento in rete con quello tradizionale e il problema affascinante non è quello di capire quale dei due sia superiore all’altro, ma di conoscere e studiare le peculiarità dei due diversi interventi.

Pensiamo ad esempio al fatto che il setting, inteso come insieme di condizioni che caratterizzano il modo di fare terapia, deve essere per prima cosa ben presente nella testa del terapeuta e deve riguardare innanzitutto la sua capacità di concedersi nella relazione con l’altro, di arrivare ad un’alleanza terapeutica che risulta quindi indipendente dalla presenza fisica del terapeuta nella stanza. Anzi, il fatto che non ci sia la presenza reale non esclude la possibilità di creare una “relazione incarnata”, cioè di attivare le componenti corporee di entrambi.

Le parole e gli sguardi presentificano l’assenza dei corpi.

Durante le terapie online assistiamo a parole che mobilitano risonanze emotive che si riflettono nei corpi che le traducono sotto forma di emozioni e sensazioni fisiche, in un gioco reciproco che attiva canali e percorsi differenti rispetto a quelli che si attivano durante incontri in presenza. D’altronde è esperienza comune quella di comunicare con una certa modalità durante una riunione informale e di scrivere poi a quelle stesse persone utilizzando un linguaggio diverso, magari più lento e pensato. Ma siamo sempre noi, solo che scegliamo di attivare percorsi neuropsichici diversi.

Sembra che la terapia online, pur con tutte le eccezioni e le particolarità che la contraddistinguono, possa essere oggi una reale opportunità di aiuto per i pazienti e non solo un mezzo da usare durante l’emergenza. Personalmente la vedo a fianco delle terapie in presenza, che risultano indubbiamente più ricche di componenti sensoriali e quindi maggiormente vivificanti, anche se in questo periodo assumono, purtroppo, caratteristiche di persecutorietà date dal necessario uso di strumenti di protezione e dal distanziamento.

Sembra che mai come in questo momento storico non possiamo esimerci dal confronto con la realtà tecnologica che offre un’opportunità per riflettere in maniera scientifica, laica, meno pregiudizievole sulla disponibilità di un mondo che entra continuamente nelle nostre vite.

 

Dr.ssa Barbara Capestrani